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58, con la protezione di Giorgio

Alla fine è andata bene, anzi benissimo. Cioè, considerato che non è nemmeno morto Andreotti*, tutto sommato possiamo dirci tutti contenti.

Le ultime 24 ore sono state un delirio bellissimo. Doveva essere una trasferta romana faticosa, piena d’ansia, invece è stato uno spasso (almeno per me perché il mio collega ho temuto un paio di volte che vomitasse). Dopo manco un’ora di ripetizione ho deciso che io, lui e la socia dovevamo rendere omaggio alle nostre istituzioni e quindi compiere un percorso a piedi a metà tra il cammino di Santiago e la maratona di New York, partendo dal Quirinale un po’ perché era il più vicino, un po’ perché Giorgio doveva proteggere noi e l’Italia in questo momento difficilissimo. In fondo, se sta lì a proteggere nientemeno che la Costituzione, noi non gli costavamo poi tanta fatica (e cmq mi ha protetto davvero perché poi all’esame mi hanno chiesto l’elezione del presidente della Repubblica e io volevo dirgli pure che ciabatte usa ma m’hanno fermato). Dunque, dopo questo giro lungo che ha avuto il vantaggio di farmi innamorare di Roma sempre più nonché quello di ucciderci, siamo tornati in albergo. Anzi no, prima siamo passati per via Parigi perché er barcarolo va controcorente e io stavo morendo ma dovevo capire dove cacchio dovevo andare la mattina dopo perché è noto all’umanità che se io scendo prima delle nove sono un automa, non un essere umano.

Arrivate in stanza la socia ho crollata e io ho mandato un messaggio per evitare che il telefono squillasse mentre dormivamo, sono stata talmente brava che ha squillato non una, ma due volte.

Sveglia alle sette e mezza (roba mai vista), colazione (io e la socia perché il terzo membro della spedizione era in una fase acuta di nausea e voglia di vomitare quello che s’era imparato), poi di corsa all’edicola che non c’era. E infatti era a cinquanta metri, ma dal lato opposto di via XX settembre e noi non l’avevamo vista.

La cosa più tremenda della mattinata non è stata l’attesa. Non è stata la gente stupida (e pure ce n’era).  È stato il caldo. Dopo aver sostato per dieci minuti nella sala dell’esame ho pensato di andare a prendere un ventilatore.

Poi vabè è toccato a me. Esame semplice, sinceramente. Domande per lo più legate alla tesina, ed è stato così per tutti gli esami che ho visto, cioè due più il mio**.

Commissario presenta la tesina. “Mi sembra che la Iervolino fosse figlia d’arte”. Io interrompo (brutto vizio): “Sì, entrambi i genitori erano nell’assemblea costituente!”. Poi capisco che non è ancora il mio turno e taccio.

Prima domanda: senta, vedendo la tesina, mi viene in mente una cosa, la Iervolino era considerata un politico capace, secondo lei perché a Napoli è stata criticata? Mi faccia un po’ una riflessione

E vabbuò, riflettiamo sul fatto.

Poi, sempre con la tesina in mano: mi parli dell’inchiesta.

Io: il Global Service? Ovviamente no, voleva sapere l’inchiesta giornalistica, ma chill teneva in mano la tesina che citava il Global Service, io mica avevo capito! Vabbuò gli dico l’inchiesta, e perché non si fa più. e bla bla.

Altre domande: La libertà di stampa, si può sequestrare il pc di un giornalista, chi convalida il sequestro, il presidente della Repubblica, i rottamatori, perché Renzi è stato criticato la settimana scorsa.

Qualche minuto di attesa fuori la porta e poi il verdetto: 58 su 60, olè.

Il resto della giornata è passato cazzeggiando in giro per la città che vorrei vivere, con tanto di sosta sotto Montecitorio a vedere i colleghi al lavoro (Berlusconi sarebbe arrivato di lì a poco per il suo discorso). Poi un’ora e mezza da Tiffany per comprare degli orecchini da regalare ma io e la socia avremmo svaligiato tutto e io ho pensato che l’anello di fidanzamento me lo posso pure comprare da sola, visto che “amare se stessi è l’inizio di un idillio che dura tutta la vita” e questo è l’unico per sempre in cui sono capace di credere. Perso il primo treno, tanto per non smentirci ne abbiamo perso pure un altro perché le macchinette automatiche e il treno merci, da qualcuno detto pomposamente intercity, non vanno d’accordo, e poi ci si è messa pure una chiattona di Trenitalia che ha pensato che il nostro turno coincidesse con la sua pausa. Salite sul treno grouchy panda è stato protagonista, anche se mi ha confessato di aver preferito la gita a piazza di Spagna.

E ora sono a casa e penso che meglio di così proprio non poteva andare (giusto se passando sotto al Messaggero o al Tempo mi offrivano un contratto ero più contenta, e mi capirete).

* l’altra notte ho sognato che moriva Andreotti e me lo chiedevano all’esame.

** altre domande: corte costituzionale, corte di cassazione, cos’è una notizia, di cosa può essere accusato il presidente della Repubblica, sentenza Bosman, tutto molto tranquillo. Molte, molte domande legate alla tesina. Tipo uno portava i guai giudiziari di Flavio Carboni e li hanno chiesto i politici coinvolti nella P3.

A.

“Sta arrivando Berlusconi”

Succede che in un uggioso pomeriggio domenicale di metà dicembre le socie – che poi siamo sempre noi – sono partite alla conquista di Roma perché domani una delle due deve fare l’orale dell’esame di giornalismo.
Succede che dopo un’oretta a ripetere, le socie abbiano deciso di uscire per conquistarla davvero ‘sta città eterna.
Succede che abbiano deciso di fare il giro delle istituzioni, a partire dal Quirinale e “Giorgio ci proteggerà”. Poi Mintecitorio, Palazzo Madama e alla fine, cammina cammina, succede che le socie si siano trovate a Palazzo Grazioli e abbiano deciso di farsi scattare anche lì una foto. “Ci sono le transenne, dovremmo restare qui, sullo spartitraffico”, ho suggerito. Ma no, si può andare, ci passa gente, perché mai dovremmo restare così lontane? E va be’, io mi sono lasciata convincere, la socia non c’ha pensato due volte et voilà: ci siamo piazzate in strada, più vicine al palazzo. E mentre le socie erano in posa, è arrivata un’auto blu con triplo lampeggiante, che per poco non le investiva. “Oh, sta arrivann’ Berlusconi”, una frase detta un po’ per gioco, ma “restiamo qui almeno cinque minuti e stiamo a vedere”. Succede che Silvio davvero è arrivato a Palazzo Grazioli mentre le socie erano lì.

E in tre, con il nostro accompagnatore, eravamo euforiche. No, non era la prima volta che vedevamo Silvio. Ma a Napoli, in Prefettura, ad Acerra, al San Carlo, in piazza o alla Mostra d’Oltremare, ci vai a lavorare. Stavolta non avevamo nulla da fare, eravamo in giro per Roma, lontane dal lavoro, senza pensieri né ansie che ti perdi Silvio e la notizia. Ecco la follia di una notte di metà dicembre per le strade di Roma.

L.

p.s.: special thanks al nostro accompagnatore in giro per Roma, tra la mia sorpresa di provare nostalgia per la capitale, l’ansia della socia e pure un po’  (un po’ si fa per dire, stava morendo) del suddetto accompagnatore, che ha girato il video dell’arrivo e l’ha postato immdiatamente su Fb. Ragazzi, in bocca al lupo. Domani tocca a voi

L’articolo 21 e l’arroganza della bassa politica

Una volta ai giornalisti era vietato seguire i dibattiti delle aule parlamentari.

Se aprite un manuale di storia del giornalismo, troverete probabilmente citato un cronista inglese di nome William Woodfall, che nel 1771 riuscì a far conquistare al “Morning Chronicle”, il primato tra i giornali londinesi grazie alle 16 colonne giornaliere di resoconti parlamentari frutto della sua capacità di ricordare a memoria tutti gli interventi in un’epoca nella quale era vietato ai giornalisti prendere appunti nel corso del dibattito.

Poi s’aprirono le porte. Inutile sottolinearne il significato per la democrazia.

Da allora ad oggi i giornalisti hanno affermato il loro diritto a seguire i lavori della politica, delle assemblee, negli appositi spazi riservati alla stampa che dall’Inghilterra del Settecento fino a noi sono stati conquistati e ormai considerati un diritto acquisito insindacabile.

Al Comune di Napoli dobbiamo ancora litigare per lavorare in santa pace.

Abbiamo una sala stampa, due stanzette con un computer e un telefono e accesso diretto alla nostra tribuna in aula. I nostri spazi vengono quotidianamente invasi dai consiglieri comunali per: fumare, chiacchierare, tenere riunioni politiche di ogni tipo, telefonare, guardare le agenzie, guardare la posta, cazzeggiare su facebook, fare uno spuntino.

Se tu stai lavorando loro se ne fottono, entrano e basta. Se tu sei a telefono concordano con i capi la linea da dare al pezzo, stanno lì ad ascoltare e magari poi tentano pure di dire qualcosa. Se tu stai scrivendo se ne fregano e ti chiedono di farti da parte. Se dici di no si piazzano dietro di te per darti fretta.

È successo l’altro giorno a un collega. Per tentare di cacciare il consigliere inopportuno, gli ha fatto una battuta tipo “che fai, spii la mia posta?”. Apriti cielo. Urla, insulti, spintoni. La collega che ha tentato di intervenire è stata zittita.

Sulla vicenda sono intervenuti UNione Cronisti e Ordine dei giornalisti per stigmatizzare l’accaduto. Il sindacato, ovviamente, tace. Vi riporto la nota dell’Ordine.

“La sala stampa del Consiglio Comunale non è un ring in cui qualche consigliere comunale può mostrare i muscoli”. L’Ordine dei giornalisti della Campania stigmatizza il comportamento di un consigliere comunale che nel pomeriggio ha aggredito verbalmente i colleghi delle agenzie Ansa e Agi e spintonato uno dei due. “Si tratta di un episodio inammissibile. L’Ordine chiede al presidente del Consiglio comunale, Leonardo Impegno, di far rispettare il lavoro dei giornalisti che hanno il delicato compito di informare l’opinione pubblica, senza essere infastiditi negli spazi loro riservati”.

Ieri mattina, in aula, lo stesso consigliere ha preso la parola per dire la sua. In pratica è stato un processo, senza possibilità di difesa. Il collega in questione ha un legame di amicizia con un assessore al quale spesso dà una mano. Dico di amicizia perché non mi risulta esserci alcun contratto tra lui e l’amministrazione comunale. Possiamo porre una questione di tipo deontologico, assolutamente. Non è opportuno che una persona vicina a un assessore segua come giornalista i lavori di Comune e Consiglio, assolutamente. A onor del vero il collega non ha mai dato prova di imparzialità, in momenti delicati come i rimpasti di giunta s’è fatto da parte. E soprattutto si tratta di una vicenda nota, in essere da tempo senza che nessuno abbia mai detto niente. Finché non è stata usata per attaccarlo. Il consigliere ha chiesto di “fare in modo che non vengano accreditati giornalisti che svolgono ruoli nell’ambito politico” perché lui non si sente tutelato. Più una ricostruzione fasulla dell’accaduto che incolpa di tuttto il collega mentre lui, poverino, era solo entrato (dove non doveva, c’è un cartello “accesso riservato ai soli giornalisti”) a controllare una mail.

Il capogruppo della parte politica dei consiglieri ha preso la parola, qualche ora dopo, per ribadire il concetto che bisogna prendere provvedimenti, chiedendo al sindaco di far rimuovere il collega, ma ha chiesto scusa ai giornalisti per l’accaduto. Il sindaco, che si proclama quotidianamente garantista e soprattutto costituzionalista, ancora una volta non ha ritenuto opportuno schierarsi al fianco dei giornalisti o quantomeno intervenire. S’è limitata ad annuire alle parole del consigliere.

Io ho passato l’intera giornata a litigare con mezzo consiglio comunale che si ostinava ad entrare nella nostra sala stampa, mancando di rispetto, di educazione, e a mio parere anche di intelligenza.

Qualcuno ha avuto addirittura il coraggio di dire che, avendo il tesserino da giornalista pubblicista, aveva tutto il diritto di entrare.

Ecco, queste sono le istituzioni, questi sono i consiglieri eletti dal popolo che dovrebbero rappresentarci. Gente arrogante anche di fronte alle regole più elementari, menefreghista, incapace di rispetto che al primo richiamo partono col “ricordati chi sono io e chi sei tu”.

Che tristezza. Meditate gente, meditate.

A.